27 settembre 2008

LA PAURA SOCIALE

È il solito vecchio trucco. Si instilla la paura e poi si propongono soluzioni di stampo autoritario, invocate dal corpo sociale per avere “sicurezza”. È il solito vecchio trucco bastardo. Ma funziona.

C’è forse un sentimento più diffuso di altri che incombe e pesa notevolmente nelle scelte quotidiane e in quelle più generali, tra gli uomini e le donne ma anche tra bambini e ragazzi, in questo periodo storico. Questo sentimento è la paura. Spesso si libera a seguito di un fatto banale o marginale, ma ancor più frequentemente avvolge complessivamente l’esistenza di ciascuno di noi e ne determina le scelte. Mi pare sempre più plausibile poter cogliere in tutto questo non tanto una reazione spontanea individuale, quanto piuttosto un vero e proprio costume sociale.La paura, infatti, quando si trasforma da meccanismo reattivo in sentimento generale per poi divenire un effettivo atteggiamento culturale produce inevitabilmente continue, spesso sottili, ma importanti, trasformazioni sociali.Così come altre sensazioni, essa tocca ogni aspetto della nostra personalità e incide in modo spesso travolgente nelle scelte che ognuno compie nella sua vita di relazione, andando a produrre vere e proprie azioni collettive. C’è inoltre un significato più politico che questo impulso assume quando, come mi pare stia avvenendo oggi, si diffonde in modo così preponderante ed esteso.La paura non può costituire una sensazione sulla quale costruire nessun progetto liberatorio né, tanto meno, può favorire una serena e razionale valutazione della realtà e di un qualsiasi problema da affrontare. Essa è in grado di stravolgere radicalmente ogni seria analisi e compromettere pertanto tutte le possibili soluzioni ad un quesito dato. Nel nostro caso è poi ancora più evidente come questo stato d’animo, nel momento in cui diviene atmosfera sociale, sia in grado di segnare pesantemente ogni questione che si deve affrontare.
Uso strumentale
Fatta questa premessa (penso tutto sommato condivisibile) è chiaro che appare evidente come vi sia, da parte di chi detiene il dominio in tutte le forme socio-culturali, un evidente interesse ad agire su di essa per amplificarne a dismisura la sua potenza paralizzante e di chiusura alle relazioni nuove e aperte ch
e invece molti di noi sarebbero disposti e inclini a vivere. Così accade che di fronte al diffondersi dell’aids si usi la paura del contagio per predicare la castità sessuale, di fronte ad un abbassamento del proprio tenore di vita la si strumentalizzi per scatenare una guerra tra poveri, nei confronti di fatti di cronaca nera per alimentare una richiesta sproporzionata di “severità” e di repressione, ecc. ecc.Insomma chi ha interesse a far si che l’ordine regni sovrano, per coprire i propri interessi e consolidare il proprio dominio, agita lo spettro della paura e ne determina un suo strumentale uso immaginario.Ma esiste anche un altro aspetto della questione che mi preme qui sottolineare e che, purtroppo, vede anche chi sta dall’altra parte, talvolta, più o meno inconsci protagonisti. Per spiegare questo concetto mi sembra opportuno fare un esempio di quanto può accadere in una piccola città di provincia (una delle tante), tra gente tutto sommato benestante (e non per questo deprecabile), nella quale personaggi politici più o meno grezzi, trasformano ogni piccolo e insignificante fatto di cronaca in un’occasione per farsi della pubblicità (di pessimo gusto e dai toni anche deprecabili) creando così una cassa di risonanza di notevole impatto mediatico. In queste occasioni parte una controffensiva, da parte di chi non la pensa in questo modo, del tutto giusta e sacrosanta ma che può, talvolta, produrre un valore aggiunto alla negatività già abbondantemente disseminata. Spesso, come abbiamo visto anche recentemente nelle macro-scelte politiche nazionali, l’identificare un nemico diviene la ragione unica di chi non ha niente da dire di significativamente diverso e migliore e l’unico comune denominatore che tiene insieme fittiziamente, mascherandole, incongruenze e povertà culturali.Una delle più diffuse pratiche di contestazione sono, ad esempio, gli appelli pubblici che permettono spesso a chi li firma di mettersi in pace la propria coscienza, consente di esprimere la propria presunta superiorità culturale, spesso invece gonfiando a dismisura un’immagine negativa che non risponde alla realtà. Se un sindaco o un politico qualsiasi si lascia andare ad affermazioni persino aberranti non significa che i cittadini, anche quelli che sottovalutano il fatto e prendono erroneamente per folclore tutto ciò, siano come lui. Ma se certi spocchiosi pseudo-intellettuali gridano al razzismo e alla vergogna, alimentando a dismisura il fatto incriminato, possono contribuire a creare un’immagine altrettanto irreale della società locale o nazionale, facendo passare, in questo mondo così virtuale e mediatico, valori e principi che in realtà poi contribuiscono a fomentare paura, incertezza, reazione. Non sarebbe meglio, ad esempio, parlare e raccontare tutte quelle positività che esistono tra le nostre comunità, che non trovano spazio e voce nella stampa e nei media in genere, che fanno sì che le nostre provincie non siano in realtà affatto come spesso vengono descritte?
Più semplicità e modestia
Intendo dire che probabilmente a forza di diffondere negatività (magari per giustificare la nostra esistenza) si corre il serio rischio di far passare in modo irreversibile questo sentimento di paura trasformandolo nell’elemento determinante per produrre ogni forma di paralisi sociale e soprattutto per impedire veramente il cambiamento.Se si ha invece la prontezza di contrapporre un fatto, e ce ne sono tanti, positivo, se si coglie l’opportunità di presentare le tante azioni spontanee e auto-promosse che uomini e donne compiono giornalmente creando tante micro-società ricche di solidarietà e sostegno reciproco, probabilmente riusciremmo a contrastare con più efficacia quell’immaginario sociale che il potere in tutte le sue espressioni ha tutto l’interesse ad alimentare. E di positività ce n’è tanta, basta solo volerla vedere e valorizzare. In questo modo, penso, possiamo contribuire a creare tanti esempi efficaci perché positivi e a far crescere un sentimento di speranza e di sogno che il mondo possa divenire almeno un po’ migliore, sconfiggendo la paura e ogni altro sentimento negativo. Talvolta un po’ più di semplicità e di modestia può giovare a creare un clima di maggiore tolleranza e rispetto. Forse (ne sono anzi convinto) la mancanza di tutto ciò è una delle cause principali del perché la cosiddetta sinistra antagonista ha perso. Se è proprio così allora è un bene che sia accaduto.
di Francesco Codello
foto di Paolo Poce

4 Commenti:

Alle 2:44 PM, settembre 27, 2008 , Anonymous Anonimo ha detto...

Mi domando che madri avete avuto. Se ora vi vedessero al lavoro in un mondo a loro sconosciuto, presi in un giro mai compiuto d’esperienze così diverse dalle loro, che sguardo avrebbero negli occhi? Se fossero lì, mentre voi scrivete il vostro pezzo, conformisti e barocchi, o lo passate a redattori rotti a ogni compromesso, capirebbero chi siete?
Madri vili, con nel viso il timore antico, quello che come un male deforma i lineamenti in un biancore che li annebbia, li allontana dal cuore, li chiude nel vecchio rifiuto morale. Madri vili, poverine, preoccupate che i figli conoscano la viltà per chiedere un posto, per essere pratici, per non offendere anime privilegiate, per difendersi da ogni pietà.
Madri mediocri, che hanno imparato con umiltà di bambine, di noi, un unico, nudo significato, con anime in cui il mondo è dannato a non dare né dolore né gioia. Madri mediocri, che non hanno avuto per voi mai una parola d’amore, se non d’un amore sordidamente muto di bestia, e in esso v’hanno cresciuto, impotenti ai reali richiami del cuore.
Madri servili, abituate da secoli a chinare senza amore la testa, a trasmettere al loro feto l’antico, vergognoso segreto d’accontentarsi dei resti della festa. Madri servili, che vi hanno insegnato come il servo può essere felice odiando chi è, come lui, legato, come può essere, tradendo, beato, e sicuro, facendo ciò che non dice.
Madri feroci, intente a difendere quel poco che, borghesi, possiedono, la normalità e lo stipendio, quasi con rabbia di chi si vendichi o sia stretto da un assurdo assedio. Madri feroci, che vi hanno detto: Sopravvivete! Pensate a voi! Non provate mai pietà o rispetto per nessuno, covate nel petto la vostra integrità di avvoltoi!
Ecco, vili, mediocri, servi, feroci, le vostre povere madri! Che non hanno vergogna a sapervi – nel vostro odio – addirittura superbi, se non è questa che una valle di lacrime. È così che vi appartiene questo mondo: fatti fratelli nelle opposte passioni, o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo a essere diversi: a rispondere del selvaggio dolore di esser uomini.

Pier Paolo Pasolini

 
Alle 7:24 PM, ottobre 02, 2008 , Blogger p.a. ha detto...

Grande poesia di Pasolini.
Grande Pier Paolo Pasolini.
Peccato che col post non ha nulla a che vedere.

 
Alle 9:22 PM, ottobre 02, 2008 , Anonymous Anonimo ha detto...

allora considerala un regalo ciao

 
Alle 10:54 PM, ottobre 02, 2008 , Blogger p.a. ha detto...

va bene! che ti devo dire?
grazie.

 

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page

Powered by Blogger